(Barcellona è una folla di turisti tra le colline e il mare.)
Sono sul divano in mutande; nella mano sinistra impugno una birra, nella destra il telecomando. Non è vero. Sto sognando, quando mi arriva un colpo in fronte. “Perché?” dico svegliandomi. E mia figlia: “Avevi un moscone in faccia!” “Che ora è?” “Quattro e venti!” “Quanto ho dormito?” “Boh, un quarto d’ora forse!”
Indice
Pennichella
Usciti dal museo Mirò ci eravamo seduti per qualche minuto su una panchina al sole; le poche in ombra erano tutte occupate. Il caldo picchiava duro, ma di fronte a noi si apriva una boscaglia che si allungava lungo una vasta salita e tra quegli alberi c’era ombra. L’avevo puntata col dito e avevo proposto di inoltrarci lì. “Lì” avevo detto “potremmo riposarci un po’!” Le mie figlie non parevano convinte, però mi ero avviato deciso e mi avevano seguito.
Non si vedeva nemmeno un rettangolino di prato. Erano solo alberi e cespugli e la superficie era terra secca, sassi e qualche manciata, qua e là, di rami o aghi di foglie. Avevo cercato il punto più comodo sotto un albero e mi ero steso. Sentivo gli spilli e i sassi duri nella schiena, ma so accontentarmi quando è il caso.
Panchine
E per l’appunto mi ero appisolato così, tra gli sterpi, come un cane. Mentre mi addormentavo sentivo, in effetti, varie bestioline inerpicarsi o planare sul mio muso. E una di quelle era proprio il moscone che mia figlia aveva scacciato colpendomi in fronte. “Che ora è?” “Quattro e venti!” “Quanto ho dormito?” “Boh, un quarto d’ora forse!”
Mi sono tirato su con quel senso di fiacchezza post pennichella, quello stordimento peso, che si ha soprattutto in estate. Abbiamo ripreso a camminare in direzione teleferica. Il sole non ci dava tregua. Lungo il percorso abbiamo scovato un bel piazzale con vista panoramica su Barcellona e comode panchine in ombra. Qui abbiamo fatto un bivacco di circa 30 minuti. Il problema era far passare il tempo.
Vagare
Dopo la sosta al parco “belvedere” siamo risaliti in teleferica e tornati giù. In teleferica ho dovuto rifare i conti con le mie vertigini. Quindi abbiamo fatto sostanzialmente lo stesso percorso, ma all’incontrario: dalla teleferica in direzione Rambla. Sosta al bar per un’altra mezz’oretta e si erano fatte quasi le 18:30. Non ci restava che la cena e il lungo dopo-cena. Un’oretta la abbiamo spesa a vagare tra i vicoli di Barcellona, guardando le vetrine dei negozi e tutti gli spettacoli che ci capitavano davanti agli occhi. Per mangiare abbiamo scelto un ristorante. Doveva essere un posto comodo, in cui trascorrere almeno, almeno un’ora e mezzo. Abbiamo optato per il più classico di classici spagnoli: la paella!
La paella
Sulla questione “paella” vorrei fare però le mie osservazioni: è il piatto spagnolo più noto, ma forse il più sopravvalutato. Innanzitutto, in Spagna trovate ovunque la paella, ma in pochi posti è fatta come si deve. Quando è fatta come si deve, è ottima. Tanto ottima quanto rara. Essendo un piatto tipico per i turisti, facilmente vi fregano. Il secondo grosso problema è di tipo digestivo. Se la paella è mediocre (come spesso accade) forma un malloppo nello stomaco durissimo da assimilare. Un anno prima, a Malaga, avevo camminato per oltre due ore nel tentativo di liberarmene, e solo dopo una Coca-Cola, una tonica frizzante e una lunga seduta sul cesso, c’ero riuscito.
Memore di tale esperienza mi ero raccomandato con le figlie: “Non esagerate col riso!”
Tra la folla
Giacché, come si può immaginare, il più grave dei problemi da affrontare girando per un giorno intero, è la mancanza di una comoda, intima toilette. Sono sempre i dettagli a fregarci… Abbiamo quindi cenato, abbastanza bene, ma con una certa moderazione. Tempo ne avevamo, anzi, fin troppo; il problema era saperlo gestire. Intorno alle 21 eravamo fuori dal ristorante e non ci restava che tirare fino a tarda notte e poi andare in aeroporto.
Barcellona, soprattutto in estate e soprattutto in centro, è perennemente piena zeppa di gente; bene o male a qualsiasi ora. Noi abbiamo camminato in lungo e in largo, sempre mantenendoci in zona Rambla. Abbiamo trascorso circa due ore seduti in plaça Reial, sui bordi della fontana, facendo il gioco dell’osservare la gente e ipotizzando che tipi fossero e in che situazione si trovassero.
Osservando
La cosa più tipica, stereotipata e ripetitiva che ho notato è il modo con cui le persone si fanno i selfie. È divertente vedere le espressioni da foto che inscenano; ed era particolarmente spassoso notare come, nelle coppie, quella che ambisce al selfie è, nove volte su dieci, la donna. La donna comanda sulla postura, la prospettiva, l’espressione da mantenere. L’uomo rimane solitamente con una faccia da baccalà e la donna, non contenta, gliene fa ripetere circa una decina. Altra cosa divertente sono le famiglie con bimbi, le quali devono zigzagare e, se possibile, evitare, i venditori ambulanti (diffusissima una specie di girandola che si lancia con l’elastico). I venditori controllano i loro pochi metri quadri di mercato e, appena notano un bambino, cercano di ipnotizzarlo col gioco. Il bambino è facile preda. A quel punto non resta che convincere o la mamma o il papà. Il gioco nostro era indovinare se un genitore avrebbe o no ceduto nell’acquisto.
Verso mezzanotte le mie figlie hanno alzato bandiera bianca.