(Il consolato o ufficio consolare è la residenza e la sede degli uffici dove si svolge l’attività dei consoli, che sono organi dello Stato preposti ad attività di carattere prevalentemente amministrativo in uno Stato estero.)
La guardia giurata che mi aveva dato indicazioni aveva forse un’idea del tempo e dello spazio einsteiniana, ovvero relativa. I “dieci minuti” che mi aveva detto erano almeno venti. Riguardo l’indicazione spaziale del “qui dietro” (muovendo la mano in quella direzione e muovendola a sinistra e poi a destra) risultava, a essere generosi, vaga.
Indice
Altra corsa
Già ero deluso per il fatto che, per salire in Consolato, c’era da fare quella sequela di documentazione, ma non c’era altro modo. Ingoiato il rospo, sono uscito dall’ingresso e ho cominciato a camminare, con le mie figlie dietro, alla ricerca di quel negozio di foto, dove fare il tutto. E dopo dieci minuti, appunto, ho realizzato che le indicazioni erano vaghe, per cui ho fatto di nuovo ricorso a Google Maps, ed ecco, dopo un po’, che siamo giunti al negozio. Era per l’appunto un negozio di fotografie, con tutte le fotografie tipiche che trovate esposte in questo tipi di negozi: matrimoni con sposi sorridenti, bambini, tipe e tipi in posa. E siamo entrati. E c’erano due che, esattamente come noi, dovevano fare foto e fotocopie.
Fotografie
Al nostro turno, espongo il caso. La signora immediatamente capisce e dice alle mie figlie di preparasi per la foto tessera. Era una signora sudamericana dall’aria cordiale e amicale. Ha detto che erano due belle ragazze e io ho commentato, per modestia (e evidenza) che assomigliavano non a me ma alla mamma. Lei ha sorriso e, per farmi contento, mi ha detto che ero bello pure io. Tutto questo in spagnolo, per cui, preciso, ciò che riporto è ciò che mi è parso di capire. Ho incassato comunque il gentile complimento, sebbene mi confortasse poco, perché avevo le palle girate. Poi ha fatto le foto e dopo un po’ le ha stampate e ce le ha mostrate. Ho una copia di quelle foto ancora qui con me: vi assicuro che le espressione che hanno le mie figlie denota perfettamente la nostra condizione psicologica. Hanno un’espressione semplicemente incazzata.
In ascensore
Ancora più incazzato ero io quando ho dovuto tirare fuori oltre 20 euro, tra foto e fotocopie. Siamo poi usciti e siamo tornati di corsa verso il palazzone del Consolato. Erano quasi le 13.
Arriviamo. Mostro alla guardia giurata il tutto. Lui ci indica l’ascensore e ci fa salire. L’ascensore era un ascensore fighissimo, ultramoderno, tutto pulito lucido in metallo, con una strana cosa: lo specchio sul soffitto. Sollevavi lo sguardo e ti vedevi riflesso rovesciato che salivi al quarto piano. E al quarto piano siamo arrivati in un batter d’occhio. Ed ecco il Consolato italiano: un’entrata iper-elegante, con due (non una, ma due) guardie sedute che ci hanno accolto con un sorridente saluto.
El consulado
Il Consolato è un posto strano. È una specie di piccolo angolo d’Italia, conficcato in uno Stato estero. Tu entri e non sei più in Spagna ma sei in Italia. Credo sia più o meno così; almeno a livello amministrativo. Comunque sia, lì dentro, potevo tranquillamente parlare italiano. Infatti mi è venuta incontro una signora (che, nella mia ingenuità, pensavo fosse la Consola) e le ho esposto il nostro caso. Anche lei non mi ha dato tempo di finire la mia esposizione, perché aveva capito tutto e sapeva già cosa doveva fare. Mi ha detto di consegnarle foto, fotocopie, miei documenti e mi ha consegnato un altro documento da compilare. Quindi ci ha detto di attendere nell’androne. E io ho capito che quella era un’impiegata, suppongo una segretaria, e non la Console.
Vetri
C’era un bellissimo androne, con delle comode sedie lungo le pareti. C’era anche un angolo svago per i bambini, con qualche gioco e qualche libro. Il resto era tutto vetro. C’erano ampie vetrate lucidissime, che davano su corridoi che si perdevano lungo altri corridoi, tutti pieni di vetrate. E tutto questo labirinto di vetrate in cui si diramava il Consolato era apparentemente vuoto. Nell’androne, insieme a noi, c’erano due giovani che aspettavano. Dopo pochi minuti è arrivata l’impiegata di prima, ha consegnato loro i documenti e quelli sono spariti. Noi siamo rimasti lì, soli.
Burocrazie
Era un po’ come essere in attesa dal dentista. Dico “dentista” perché era tutto incredibilmente lucido, pulito, silenzioso. A differenza del dentista, però, non si sentivano rumori di trapani. Non si sentiva niente. Era come se le persone, dietro quelle vetrate, si volatilizzassero. Quel silenzio, per i primi minuti, era piacevole; dopo dieci minuti, cominciava ad angosciarmi.
L’impiegata è riapparsa. Mi ha precisato che, per ottenere il “documento sostitutivo” era necessaria la firma di entrambi i genitori.
“La madre” ho detto “come vede, non è con noi. Come facciamo?”
“Mi dia l’indirizzo di posta elettronica della madre. Le invierò una copia del documento. Lei dovrà compilarlo, firmarlo e inviarcelo. Una volta fatto questo, io potrò consegnarvi il tutto.”
Il tempo stringe
Sono rimasto a fissarla perplesso, in silenzio, ascoltando. Poi ho chiesto: “È proprio necessaria la firma della madre? Perché, capisce signora, non so se riusciamo a fare tutto facilmente!”
“Mi spiace ma questa è la procedura. Non c’è altro modo!”
Aveva un’aria seria, molto seria, quasi severa, un po’ da professoressa rigida.
“Capisco bene, signora” le ho detto “Ma credo che la madre sia al lavoro ora. Non so se può fare tutto. Non so se sia raggiungibile, ora.”
“La procedura è questa e non c’è altro modo. Le sue figlie sono minorenni, la legge è questa. Capisce bene che è una forma di protezione verso i minori. È chiaro che non è così: ma lei potrebbe essere fuggito con le figlie… Questo lo preciso in linea ipotetica, per farle capire il motivo per cui sono necessarie entrambe le firme.”
Erano quasi le 14:00. Alle 17:00 il Consolato avrebbe chiuso fino al lunedì successivo. Il nostro aereo partiva la domenica.