Celestino V (Pietro del Morrone) fu papa per soli 161 giorni. E’ uno dei pochi papi ad aver a rinunciare al proprio mandato. Ed è forse lui la misteriosa anima del “gran rifiuto”.
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Quando Dante si addentra in quello che è già inferno ma non è ancora inferno, dove sono puniti coloro che “visser sanza ’nfamia e sanza lodo”, i cosiddetti ignavi, la feccia infernale, Dante, appunto, non ne nomina nemmeno uno, facendo fede a quanto Virgilio consiglia: “non ragioniam di loro, ma guarda e passa”. Tuttavia, passando, fa un accenno a uno in particolare e dice: “vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”.
Qualcuno che ha fatto per viltà il grande rifiuto. E cos’è questo grande rifiuto? E chi è quest’ombra?
Con abile gioco narrativo Dante non ce lo dice. Ce lo lascia sospettare. E i sospettati sono diversi: Pilato (se ne lavò le mani), Esaù (cedette la primogenitura per un piatto di lenticchie), Giuliano l’Apostata (imperatore che provò a reintrodurre la religione pagana), ma uno, signori della corte, uno è il principale sospettato. Si chiama Celestino V, all’anagrafe, Pietro del Morrone.
Due anni senza papa
Pietro del Morrone nacque nel 1215 in un paese nella provincia di Campobasso. Fu eletto papa il 5 luglio 1294 (quindi molto anziano) e rimase papa per 161 giorni, fino a quando, il 13 dicembre del 1294, non rinunciò al papato. Il suo predecessore fu Niccolò IV, il quale era morto il 4 luglio del 1292.
Non c’è un refuso… il suo predecessore era morto due anni prima. Questo vuol dire che, per ben due anni, la Chiesa non aveva avuto papa. Il conclave cardinalizio, in lotta tra le fazioni dei Colonna e degli Orsini, non riusciva a trovare un accordo e la questione si prolungò per ben due anni. Finché non giunse la scelta di Celestino V.
Secondo un cronista dell’epoca, Celestino V visse il papato come fa il fagiano selvatico, il quale nasconde la testa credendosi invisibile.
Percorso eremitico
Di lui si racconta che, quando era bambino, era così buono che il diavolo, per invidia della sua bontà, cercava in tutti i modi di fargli dire parolacce o fare cose sconce, ma lui niente; e si dice anche che il diavolo cercasse di convincere la madre a non investire denaro per farlo studiare da prete, perché sarebbe morto presto, ma lei niente. Insomma, era predestinato alla carriera ecclesiastica.
La sua vera ambizione era però fare il monaco eremita. Si racconta che, intorno ai 20 anni, partì verso Roma (probabilmente da Isernia) con l’intenzione di diventare eremita. La vita eremitica tuttavia gli creava dei problemi, perché temeva il buio nella solitudine, anche perché, in quel buio, il diavolo continuava a insidiarlo. Anche dopo le iniziali difficoltà, quando riuscì a vivere una vita in solitudine e preghiera, il diavolo non smetteva di provocarlo: gli appariva in forma di bella donna mentre era lì tranquillo da solo, a volte anche direttamente a letto, mentre era lì che si riposava da solo, a volte addirittura in forma di due donne completamente nude nel letto, una da una parte e una dall’altra. Lui cercava di stringersi nella tunica, ma quelle facevano di tutto per disturbarlo. Non era facile resistere.
Una congrega di seguaci
La sua vita eremitica fu inizialmente molto dura, ma con il tempo si abituò e divenne per lui il modo più congeniale per vivere nella pace di Dio. Si nutriva di quel poco che trovava, senza il minimo lusso. Tra la gente, si era sparsa intanto la voce del suo modo di vivere in santità, e qualcuno ogni tanto andava a fargli visita, chiedendo un aiuto nella preghiera. Egli però non si sentiva adatto a diventare un pastore di uomini. Non si sentiva però neppure di scacciare quelle persone, per cui, piano piano, si creò un gruppo di seguaci intorno a lui. Si formò una piccola comunione di fedeli che, con il passare degli anni, si fece sempre più numerosa. La sua fama di santo di diffondeva, così come le testimonianze di miracoli intorno alla sua comunità.
Habemus papam
Il 5 luglio 1294 il conclave cardinalizio si era deciso nella scelta del nuovo papa. Un gruppo di ambasciatori (tra cui l’arcivescovo di Lione, il vescovo di Orvieto e altri, tra cui notai papali) si arrampicò su per i monti fino alla chiesa eremitica di Pietro del Morrone, con lo scopo di comunicargli la sua nomina a papa, lui aveva oltre 80 anni. Appena li vide arrivare, tentò di fuggire, perché pensava che fossero messi del demonio (e forse non sbagliava). Furono i suoi confratelli a trattenerlo e convincerlo che quelli non erano messaggeri del diavolo, ma dello Spirito Santo. E così si trovò, senza volerlo, ad essere papa.
Un fulmineo papato
161 giorni dopo, però, prese atto del fatto che quello non era, non poteva essere il suo ruolo. Troppe complicatezze, troppi intrighi di corte… Essere papa era più una faccenda politica che religiosa, e lui non si sentiva certo adatto ad occuparsi di politica. Così fece “il gran rifiuto”. Non fu, sia chiaro, l’unico caso. Il più recente è quello di Benedetto XVI (28 febbraio 2013), ma ve ne furono altri: Ponziano (235), Silverio (537), Benedetto IX (1045), Gregorio VI (1046), Gregorio XII (1415).
Le manovre di Bonifacio
Ma c’è un motivo particolare che lo rende il principale indiziato tra gli ignavi, in particolare se l’accusatore è Dante Alighieri. Il “gran rifiuto” di Celestino V fu l’ovvia causa della salita al trono pontificio di quello che, per molti, era l’Anticristo: Bonifacio VIII. E Dante, come ben sappiamo, aveva tutte le sue buone ragioni politiche e personali per odiare Bonifacio VIII. È quindi abbastanza ovvio che se egli punta il dito contro qualcuno che fu, bene o male, il responsabile di quel disastro, si tratti di Celestino V.
Lo so… è strano: un uomo così buono, un santo, merita la dannazione? Evidentemente, per Dante, essere buoni non basta. Bisogna mettersi nella battaglia del mondo.
Per approfondire: Dino Baldi Vite efferate di papi