Marco Berisso, nato a Genova nel 1964, è docente di Filologia Italiana presso l’Università di Genova. Suoi studi sono apparsi su varie riviste e antologie. Ha fatto parte del Collettivo di Pronto Intervento Poetico «Altri Luoghi» e del Gruppo ’93. È autore di diversi libri, tra cui ricordiamo: Il verbale (romanzo, Derive Approdi, 2000) Annali (poesie, Oedipus, 2002), Poesie dello Stilnovo (Rizzoli, 2006), Dante Alighieri (Le Monnier, 2011), Cacciatore d’anime (remix) (Zona, 2015), Per patria il mondo (Gedi, 2021).
Tabella dei contenuti
Il signor Alighieri
Teroni: “Parliamo di Dante Alighieri: è l’autore probabilmente più importante della letteratura italiana e non solo. Su di lui, intorno a lui sono stati scritti centinaia di libri. Nel 2021 in particolare (a 700 anni dalla morte) ci sono state conferenze, spettacoli, dibattiti, libri, saggi, articoli eccetera. Eppure, c’è una cosa da segnalare su tutto: della sua vita si sa in realtà poco. O esagero?”
Berisso: “Sì, possiamo dire che ne sappiamo poco. Soprattutto a livello di atti notarili, documenti ufficiali e così via. Il che può sembrare strano, considerando quanto è stato importante l’impegno politico di Dante sia prima che dopo l’esilio. Su alcuni anni, ad esempio quelli fiorentini, ne sappiamo magari un po’ di più e la difficoltà è semmai capire cosa significa veramente quello che possediamo (ma su questo si sono fatti passi avanti proprio intorno agli anni del centenario). Per quel che riguarda i vent’anni dell’esilio, invece, abbiamo solo tre documenti ufficiali e il resto sono congetture più o meno verosimili. Poi naturalmente c’è quello che lui racconta di sé e quello che di lui raccontano i suoi biografi, da Villani e Boccaccio in avanti. Ma va preso un po’ con le molle. E insomma, se pensiamo a quanto sappiamo invece sulla vita di Petrarca, le zone oscure per Dante sono moltissime.”
Sull’accusa di concussione
Teroni: “Tu ti sei occupato in diversi libri di Dante e dei poeti dello Stilnovo. Che idea ti sei fatta di lui? I ritratti ce lo presentano sempre arcigno e sdegnoso e, spesso, viene riportato come esempio di integrità. Pensi fosse così?”
Berisso: “Sicuramente c’è del vero. È un fatto che Dante sia uno dei pochi esuli che non rientrerà mai a Firenze, nonostante le sue responsabilità politiche fossero sì gravi ma non certo peggiori di molti che invece riuscirono a rimpatriare. E questo è successo anche perché rifiutò in più di una occasione di ammettere colpe che non riteneva di aver commesso (ne parla anche in una delle sue lettere ad un amico, o più probabilmente un parente, fiorentino). Certo, sulla sua immagine di uomo inflessibile ha poi giocato molto la proiezione romantica e risorgimentale: l’esule integerrimo, colui che mette la verità al di sopra di tutto, il poeta-combattente che non scende a patti. Ultimamente si tende invece ad andare molto nella direzione opposta, a relativizzare tutto, a immaginare un Dante che addirittura sagoma il contenuto delle proprie opere a seconda degli obiettivi immediati che vuole conseguire. Come capita spesso, anche se è banale dirlo, la verità sta probabilmente nel mezzo. Sicuramente vivere un esilio come quello che Dante ha subito era difficilissimo, persino al livello minimo di riuscire a trovare di che campare (Dante non era un combattente e l’interdizione subita non gli permetteva di coprire ruoli politico-amministrativi). Ma, lo ripeto, il fatto che sia morto lontano da Firenze dimostra che la capacità di arrivare a un compromesso non era proprio parte della sua personalità.”
Teroni:”E l’ipotesi che Dante fosse davvero un corrotto è plausibile?”
Berisso: “Corrotto in senso proprio, di chi prende denaro per favorire qualcuno, no, o almeno non ne sappiamo niente. Però quando era priore approvò un sistema di elezione nei consigli che avrebbe sicuramente favorito la fazione dei Bianchi, cioè il suo partito. Niente di illegale in sé, sia chiaro, però di certo era un modo di forzare le cose per perpetuare il dominio di un partito sulla città. Quindi, se vogliamo, la denuncia di baratteria esagerava qualcosa che però c’era stato.”
Aspetti comici
Teroni: “E tutta quella scena, nei canti dei barattieri (XXI-XXII), in cui Dante e Virgilio fuggono inseguiti dai diavoli, potrebbe quindi essere una proiezione autobiografica?”
Berisso: “Direi di no: è una grande, grandissima scena comica!”
Teroni: In effetti, c’è un aspetto (che credo sia poco messo in risalto): la Divina Commedia terrorizza, fa pensare, fa commuovere, ma fa anche ridere. D’altronde è una “commedia”.
Berisso: “Infatti! Certe zone soprattutto di Malebolge vogliono essere proprio comiche. Pensa alle battute che fa su Alessio degli Interminelli nella bolgia degli adulatori o al litigio tra maestro Adamo e Sinone. E poi appunto tutti i canti dei barattieri che hai ricordato prima.”
Le donne di Dante
Teroni: “Adesso vorrei parlare con te di un’altra questione: Dante e le donne. E ti faccio la domanda che mi pongono sempre gli studenti e che si sono posti più o meno tutti. Te lo chiedo in modo elegante… Che relazione c’è stata tra Dante e Beatrice?”
Berisso: “Esattamente quella che racconta Dante: cioè, nel nostro senso nessuna. Beatrice probabilmente non avrà mai saputo niente dell’innamoramento di Dante (e del resto ricordiamoci che muore molto prima che Dante faccia circolare la Vita nuova): del resto era sposata, come sappiamo, e anche con un personaggio di un certo rilievo che sicuramente non avrebbe apprezzato! Per Dante però quell’incontro e quell’innamoramento sono fondamentali, perché gli permettono di costruirci attorno un’idea dell’amore e della poesia del tutto nuova.”
La moglie
Teroni: “Però, a tale proposito, c’è un’altra cosa che mi lascia perplesso: Dante era sposato con Gemma Donati. Cosa avrà pensato la signora Alighieri del fatto che lei, in quanto donna, è completamente assente nell’opera del marito, mentre Beatrice risulta la donna perfetta, ideale, santa, eccetera? Insomma: non era gelosa?”
Berisso: “Non dobbiamo pensare a questi rapporti dal punto di vista contemporaneo. Il matrimonio era prima di tutto un atto di tipo economico, tant’è che lo si siglava prima davanti al notaio e solo dopo davanti al prete. Anzi, esisteva una serie di atti preliminari in cui questo accordo veniva messo a punto ben prima che il matrimonio fosse effettivamente effettuato (è proprio da un atto di questo tipo che noi sappiamo il nome della moglie di Dante, Gemma Donati, appunto). Questo naturalmente non vuol dire che i coniugi poi non potessero sviluppare una forma di affetto e persino di amore, ma non era quello il motivo per cui ci si sposava. E comunque Gemma, rimasta da sola a Firenze con tre figli e col rischio di trovarsi senza una fonte di mantenimento, avrà avuto problemi ben più gravi della gelosia per Beatrice!”
Dante lussurioso?
Teroni: Sempre per quanto riguarda Dante e le donne, ti dico: ho sempre avuto, di lui, l’idea di un uomo serio e probo, ma… sbagliavo. Dante scrive a Forese Donati un sonetto con cui lo sfotte (lo accusa di non saper soddisfare la moglie). Nelle Rime petrose, Dante fa riferimento a una donna che lo ha rifiutato. Era quindi un pochino lussurioso?”
Berisso: Beh, certo… Boccaccio lo dice proprio, lo indica anzi come uno dei sue due unici difetti (l’altro è l’eccessiva attrazione per la politica). E comunque, se ci pensi, per il significato allegorico della lonza, una delle tre fiere che gli bloccano il cammino all’inizio della Commedia, i commentatori sono praticamente tutti d’accordo nel pensare proprio alla lussuria. E poi c’è il famoso svenimento alla fine di Inferno V, probabilmente a indicare proprio una partecipazione empatica, diciamo così, alla vicenda di Francesca.”
La donna angelicata
Teroni: L’idea dell’amore che deriva dagli stilnovisti è (o pare) privo di sensualità o, meglio, privo di erotismo. Questo concetto di “donna angelo” evoca l’immagine di una donna asessuata o sbaglio?”
Berisso:“La donna che assomiglia a un angelo, in sé, non è affatto asessuata: nasce in ambito trobadorico e si limita a indicare una bellezza sovraumana. Da lì arriva poi nella poesia italiana, ed ha sempre quel valore. Non dobbiamo dimenticare che quando Guinizelli dice alla fine della sua famosa ‘Al cor gentile’ “Tenne d’angel sembianza / che fosse del tuo regno” lo fa per giustificarsi davanti a Dio per l’aver perso tempo con un amore terreno e profano invece di amare appunto Dio e la Madonna (e quella affermazione, insomma, è poco più di una battuta di spirito). Il passaggio decisivo, che fa Dante e solo Dante (non lo trovi in Cavalcanti o in Cino, ad esempio), è che Beatrice non assomiglia a un angelo (“tenne d’angel sembianza”, appunto) : Beatrice è un angelo, sceso in terra dal Paradiso e là destinato a tornare. In questo senso, allora, ovviamente è una immagine asessuata, come potrebbe esserlo quella di qualsiasi essere celeste. Ma, lo ripeto, è una particolarità di Dante: anzi, se vogliamo, è la sua grande trovata, quella che gli permette di vedere l’amore non come un rapporto finalizzato ad altro (la sessualità, la devozione, l’economia) ma un tratto che distingue una sensibilità eccezionale, quella appunto del poeta, e lo rende unico, “gentile” anche aldilà della sua condizione sociale. In un certo senso, è grazie a Beatrice che Dante scopre cosa significa fare poesia: la poesia è l’unica vera e irrevocabile realizzazione dell’amore (che è poi quello che si ripete con la formula della cosiddetta “poesia della lode”), capace di andare oltre la donna che la provoca, quella donna che, infatti, può morire senza che l’amore muoia con lei.”