Dentro la poesia: Florinda Fusco (18) – Poesia e silenzio

Florinda Fusco ha pubblicato su varie riviste italiane e straniere. Nel 2001 esce Linee (Zona). Con Il libro delle madonne scure (Mazzoli 2003), illustrato da Luigi Ontani, è stata vincitrice del Premio Delfini. Ha tradotto dallo spagnolo l’opera poetica della scrittrice argentina Alejandra Pizarnik, vincendo il premio nazionale di traduzione Bernard Simeone (2004). Nel 2009 ha pubblicato Tre Opere (oedipus). Nel 2011 è uscito il libro multimediale Thérèse (Polìmata). Ha partecipato a vari festival di poesia in Italia e all’estero. Ha collaborato con la compagnia di ricerca teatrale Operabianco per il lavoro Ma e ha scritto per loro Film-Macchina della vista e dell’udito (edito nel 2017 dalla Camera Verde) partecipando a festival e rassegne di teatro in varie sedi tra cui la Triennale di Milano e il Festival dei due mondi di Spoleto. Nel 2020 con la collana Logosfere di Zona è uscito il testo bilingue The book of the dark Madonnas. Ha scritto monografie e diversi saggi di letteratura italiana moderna e contemporanea. Nel 2022 è uscito Il compleanno e altre opere (Argolibri), nel 2023 Materia osservabile (editore La vita felice) e nel 2024 Nessuna variazione al secondo principio di termodinamica (La collana Isola), testo e audio con le illustrazioni di Valentina Vallorani recentemente tradotto in francese con il titolo Nulle modification du seconde principe de la thermodynamique. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, in francese, in spagnolo e in greco.

Maurizio Teroni

Buongiorno Florinda. Nel tuo libro Materia osservabile alcune poesie hanno una forma particolare: sono equazioni. Quindi usi un linguaggio matematico anziché letterario. È una formula, credo, nuova. Ci sono altri autori che hanno fatto qualcosa di simile o è una tua scelta originale? In ogni caso, parlami della la motivazione di questa scelta?

Florinda Fusco

Buongiorno. Grazie per la domanda. Non conosco autori che abbiano utilizzato equazioni in un’opera poetica. Non è la prima volta, in realtà, che uso equazioni in un mio lavoro. Le ho usate già in un testo drammaturgico intitolato Film. Macchina della vista e dell’udito.
L’idea è quella di dissolvere il linguaggio verbale, umano, nel linguaggio matematico dell’universo. Materia osservabile nasce dallo stridore che io avverto tra fatica umana quotidiana e splendore matematico dell’universo. Al centro ci sono figure femminili che ho conosciuto o che ho visto. Le osservavo e vedevo i loro volti stanchi, le loro espressioni; anche il modo in cui erano vestite. E avvertivo fatica e lotta quotidiana nei loro volti. Al contempo studiavo teorie fisiche ed ero ammaliata dalla perfezione di queste teorie. Mi riferisco a teorie fisiche cosmologiche, ma anche a quelle fisiche quantistiche, e la mia tensione era quella di far dissolvere le fatiche di queste donne nell’armonia dell’universo.

Da quanto dici, mi viene da pensare che la poesia possa e debba cercare di essere un modo per dare una risposta alla difficoltà del quotidiano.

La poesia è un modo per sorvolare il quotidiano, per andare al di là. C’è questo legame che mi interessa molto tra materia e non materia nella poesia: materiale e immateriale, corporeo e incorporeo. Con la poesia si sta nella materia e nella non materia. C’è il corpo, ma il corpo stesso si dissolve. La materia si smaterializza. E tutto diventa più lieve, più leggero; come stare nella materia ma, al contempo, uscirne. Mi viene in mente un’immagine: il corpo come un albero che ha le radici nel cielo e i rami e le foglie che toccano la terra. Si sta nel quotidiano, ma si sta anche oltre il tempo, nel “non-tempo”, in altri tipi di tempi, che non sono il tempo del quotidiano, con i suoi ritmi convenzionali, con le sue cesure, con i suoi obblighi. È un tempo libero, liberato.

Ci sono poeti contemporanei a cui ti senti affine nell’impostazione stilistica e strutturale?

Per rispondere a questa domanda, vorrei dire in primo luogo che utilizzo in ognuno dei miei lavori impostazioni strutturali anche molto diverse tra di loro. Ogni struttura ha per me un significato, nel senso che ogni forma è un contenuto, perché ogni forma comunica un qualcosa: ogni forma è un processo di significazione. E voglio citare una teoria di Giuliano Mesa, quella del verso necessario. Credo che questa sia una delle teorie della struttura versale contemporanea più significativa. Qual è il nucleo di questa teoria? Il verso, la struttura versale o, in senso ampio, la struttura formale risponde a una necessità profonda dell’autore. L’autore sceglie la forma che gli appare «necessaria» per quello che ha intenzione di dire, di comunicare. E dunque la struttura formale risponde ad una necessità intima e impellente e deve essere considerata come tale. Ogni forma da me utilizzata è una necessità che si lega sottilmente ad un’intenzione. Ed evidentemente, nel tempo, questa necessità si è modificata.


La prima forma che ho utilizzato è stata quella della «linea», una struttura che ho chiamato così. Infatti il mio primo libro è intitolato linee. Come dice Marco Berisso, in riferimento proprio a questo mio primo libro, la linea non corrisponde né al verso né alla prosa, ma è una forma a sé. O come dice Rosaria Lo Russo: la linea è un vettore. Ecco, io mi trovo fortemente in queste definizioni che Berisso e Lo Russo hanno dato alla struttura formale dei miei primi libri, perché effettivamente si tratta di «vettori», di forze vettoriali con un certo orientamento e una certa dinamicità ritmica. È un vettore con delle coordinate sonore, ritmiche e semantiche. Nelle linee io do una centralità alla pausa, al silenzio. Infatti le linee sono inframmezzate da dei vuoti, e questo vuoto non è, come dire, un’interruzione di qualcosa, ma è un centro da cui emanano le parole, i suoni e i ritmi.


Lo spazio vuoto per me è lo spazio kha, usando un’espressione di Coomaraswamy, ovvero un campo di forze in posizione zero, uno spazio che contiene tutte le potenzialità. E dunque il vuoto è lo spazio che contiene tutte le possibilità sonore, ritmiche e semantiche. In questo senso, il vuoto, che corrisponde al silenzio, diventa davvero il centro irradiatore di tutta la struttura formale: il centro irradiatore di ogni linea. Questo vuoto è spazio di pensiero, delle possibilità infinite del pensiero. Ed è, come dice Edith Stein, il vuoto da cui emerge la materia. Nel caso della scrittura, è il vuoto da cui emerge la «parola-materia». Ed è il silenzio che, come dice Simone Weil in riferimento alla musica, è fondamento del tutto, una «sospensione da cui tutto trae valore».
Dal punto di vista visivo e anche ritmico, sono stata influenzata da certe opere di Pagliarani che utilizzano una struttura fortemente ritmica e allungata nella pagina. Nell’uso della parola, però in quegli anni, è stata determinante Gertrude Stein. E nel processo ampio di significazione del testo, sicuramente sono stata influenzata da Eliot.


Il compleanno è un lavoro in cui ho utilizzato una sorta di linea verticale, non più orizzontale come nelle opere precedenti. Questa nuova verticalità corrisponde ad una necessità: alla necessità di scarnificare il testo e di dare centralità e forza ad ogni singola parola. In questo modo, ogni parola diventa, come diceva Amelia Rosselli, un vero e proprio pozzo di significazione. Le parole sono isolate nella linea verticale. E dunque, in questo isolamento, in questa immersione nel vuoto, emanano tutta la loro forza. Non isolo solo parole evidentemente significative, ma anche articoli e a volte preposizioni che assumono così un particolare valore semantico nel loro isolamento. Sono rafforzate, la loro forza si moltiplica.
Per quanto riguarda l’ultimo libro, Materia osservabile, qui utilizzo un’altra forma, una forma più prosastica. È un testo più vicino alla prosa, alla prosa scientifica. Anche questo ha un significato, risponde ad una necessità, perché qui la poesia è in dialogo con la scienza. E dunque con la prosa scientifica.
In questo ultimo libro, in cui emerge un genere ibrido, sono stata sicuramente anche influenzata dall’esperienza di Exit, dagli incontri pluriennali di Exit a cui hanno partecipato vari autori contemporanei di ricerca. Infine è stata determinante per me la figura di Giuliano Mesa, non per l’uso di una forma, ma per l’idea stessa di scrittura che mi ha trasmesso, una scrittura che si fa etica e si fa politica.

(Senza titolo)

Da Materia osservabile (2023)

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