La strage del 2 agosto 1980
Tra le 85 vittime della strage alla stazione di Bologna, c’era anche un giovane non ancora ventenne. Si chiamava Iwao Sekiguchi.
In Giappone abitava in una città satellite di Tokyo, in un appartamento con i genitori, una sorella e un fratello più piccoli. Avrebbe compiuto 20 anni dopo poche settimane, precisamente il 18 agosto. Studiava letteratura giapponese alla Waseda di Tokyo, una delle università più prestigiose del Giappone. Amava l’Italia e voleva visitarla. Era riuscito ad ottenere una borsa di studio, che gli sarebbe servita per un mese circa, ma aveva intenzione di fermarsi più a lungo. Per racimolare i soldi necessari, aveva lavorato dando lezioni private.
Era partito dal Giappone il 22 luglio. Era arrivato in Italia il 23, a Roma. Qui era rimasto ospite di un amico per una settimana, poi si era trasferito a Firenze e da Firenze a Bologna.
Iwao teneva un diario del proprio viaggio, che custodiva in una borsa fatta a cintura. Sua madre gliela aveva appositamente confezionata per il viaggio. Così scriveva quel giorno: “Sabato, 2 agosto. Sono alla stazione di Bologna.” Era giunto in stazione intorno alle 10 di mattina. Si era seduto nella sala di attesa della seconda classe. Nel diario, quel giorno, aveva anche appuntato di aver telefonato a Teresa, ma Teresa non c’era e aveva così deciso di andare a Venezia. Avrebbe dovuto prendere il treno per Venezia delle 11:11. Alle 10:25 esplose la bomba a pochi metri da lui.
I genitori seppero della sua morte il giorno successivo alla strage. Lo vennero a sapere tramite la televisione: il figlio era tra le vittime. Contattarono la stazione televisiva, quindi il Ministero degli Esteri: entrambi confermarono. Riuscirono a racimolare i soldi necessari per il viaggio in Italia, per andare al funerale del figlio, tramite una colletta di amici. Giunti a Roma, l’ambasciatore giapponese li accompagnò a Bologna dove, nella basilica di San Petronio, si tennero i funerali delle vittime.
Ai genitori venne consegnata un’urna contenente le ceneri del figlio. La madre tenne tra le mani quell’urna per tutto il viaggio di ritorno.