Vacanze d’infierno: V puntata – Barca

(Dormire in una barca ormeggiata offre il vantaggio di sentirsi dolcemente cullati. Il resto è terrificante).

La host ci aspettava lungo la banchina con ombrello in mano e sorriso. C’era un sole tipo Sahara e lei aveva l’ombrello e non capivo il motivo, poi ho capito e non è in effetti un motivo assurdo: c’è gente che si ripara dal sole con l’ombrello. A ma fa strano. Non so a voi. Ma è una scelta assolutamente ragionevole.
Era una donna sui quaranta, non bella. Anzi, priva del più minuscolo dettaglio che potesse renderla eroticamente interessante.
Era molto gentile, molto cordiale. Direi fin troppo gentile e cordiale. Sarà una pecca da genovese ma diffido di tutti e, soprattutto, di quelli troppo gentili.
Ero comunque così distrutto che questa donna mi appariva come Beatrice appare a Dante in cima al Purgatorio. Quindi la chiamerò Beatrice.

Bienvenido!

Beatrice si presenta. Mi presento. Le presento le mie figlie. Tutto in uno spagnolo, da parte mia, a cazzos. Sempre con il mio spagnolo “a cazzos”, le spiego quali sventure abbiamo passato. Le dico del check-in, le dico delle valige, le dico del tassista; lei ride. Forse rideva perché non aveva capito un cazzos.
Però la storia del tassista pare averla capita. Infatti mi chiede se era pakistano. Io faccio la faccia come dire: mah! Beatrice ce l’aveva coi pakistani. Diceva che i tassisti pakistani sono dei pessimi tassisti. Io, di fronte alle questioni nazionalistiche, alzo le mani.

Alloggio

Beatrice amava, a quanto pare, parlare con me. Io invece mi ero rotto i coglioni. Quindi ho detto: “Mostrace la abitasion, por favor!”
Perpendicolari alla banchina in cui eravamo noi, c’erano altri 5, mi pare, banchine, che si allungavano perpendicolari. Per ogni banchina c’era una sorta di portone di entrata: a, b, c, d, e. La nostra era la “c”. Con una chiave magnetica si apriva il portone, si camminava lungo la banchina dove erano ormeggiate imbarcazioni a destra e a sinistra. C’erano imbarcazioni molto fighe… yacht eleganti… barche a vela… panfili. La barca più sfigata in assoluto era la nostra.

Come Fantozzi e Filini…

A vederla da fuori non era neppure male (sia chiaro… magari la avessi…). Anzi, era obiettivamente una bella barca a vela (c’era l’albero ma non la vela). Per salirci, bisognava allungare la gamba in un breve tratto di vuoto (qualcosa come 30 cm), mettere il piede sul gradino, reggersi a una vibrante corda in acciaio e sbilanciarsi dalla banchina alla barca. Insomma… salire non era facilissimo. Penso che uno sbronzo cadrebbe facilmente in mare.
Va precisato che tutte le altre imbarcazioni avevano una sorta di piccolo ponte, adibito al passaggio. Qui c’era questa scaletta sbilenca. Ma questo è il meno…

Sottocoperta

La barca aveva, oltre la scaletta di passaggio, uno piccolo spazio a poppa aperto in cui ci si poteva sedere in modo vagamente comodo. Questo era, come dire, il salotto (in termine tecnico, si chiama “pozzetto”). Poi c’era una porticina (“tambucio”) che conduceva alla parte interna (“sottocoperta”).
Il tambucio era formato da porta ovoidale divisa in due parti, una sotto e una sopra, chiuse da un lucchetto. Con un lieve colpo di piede si poteva aprire.
Beatrice schiude il lucchetto e ci conduce in sottocoperta. Che dire? Un lavandino ino ino; un frighetto; un letto (letto è un parolone…). Poi c’era il letto matrimoniale… ovvero un materasso sistemato nella prua della barca, quindi, logicamente, con una forma appuntita. Lì c’era, credo, una temperatura sui 45 gradi.

Il tambucio

Beatrice ci spiega la barca. C’era in realtà poco da capire. Ci mostra quel poco che c’è da mostrare, tra cui come accendere il ventilatore, come usare la chiave, come chiudere la porta: le due parti semi-ovoidali andavano incastrate e chiuse con il lucchetto dall’esterno, ma una volta incastrata dall’interno non si poteva chiudere, quindi si dormiva con la porta semplicemente appoggiata.
Ero spossato e poteva andarmi bene tutto. Ma il dubbio sicurezza (soprattutto per le mie figlie) lo avevo. Così chiedo a Beatrice se il posto è tranquillo… se è sicuro insomma… Lei sorride e dice: “No problema!”
Chiaro… come chiedere all’oste se il vino è buono…

Servizi inclusi

Poi ci mostra il bagno. Tra le indicazioni segnalate su Airbnb c’erano inclusi: cucina, bagno e lavatrice. Cucina?! C’era un forno a micro-onde… che, in linea strettamente teorica, è cucina. Il bagno non c’era. E tanto meno la lavatrice (a meno che la lavatrice non fosse il lavandino). Il bagno non c’era ma c’era. Mi spiego: bisognava uscire dalla barca, uscire dalla banchina, percorrere una cinquantina di metri e andare in un bagno pubblico. Qui si accedeva con la stessa chiave magnetica del portoncino.

Lavatoio pubblico

Il bagno pubblico era composto da da quattro bagni, tutti uguali, con un lavandino, un cesso, una doccia. Erano frequentati da un numero imprecisato di persone (ogni tanti vedevi gente entrare e uscire in accappatoio). C’era una umidità tipo sauna e i pavimenti perennemente bagnati. L’igiene era altalenante e, a volte (a seconda di chi li aveva usati) trovavi un delizioso profumo di piscia o merda. Ma ero così provato che, tutto questo, mi sembrava ottimo.

Perplessità

Erano le due circa. Io e le mie figlie abbiamo sistemato le nostre cose in barca. Beatrice se ne era andata. Mi sono sdraiato sul mio letto (non ci stavo né in lunghezza né in larghezza) e ho cercato di rilassarmi. Sudavo… sudavo in ogni punto del mio corpo. E pensavo intanto quali droghe avesse usato chi aveva scritto quelle ottime recensioni su questo posto. Forse erano ventenni sotto l’effetto di una qualche droga chimica. Non c’era altra spiegazione. O forse le recensioni di Airbnb sono balle. Poi mi sono addormentato.

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