Se sfogli un qualsiasi manuale di letteratura, trovi Pier della Vigna due volte: una come autore (tra i poeti della cosiddetta Scuola Siciliana), l’altra come personaggio della Divina Commedia, più precisamente come rappresentante dei suicidi, trasformato in albero, che piange narrando le proprie disgrazie, in un clima cupo e fitto di misteri.
Essendo vissuto intorno alla prima metà del Duecento, sappiamo di lui poco, ma non troppo poco, dato che era una figura di rilievo. Vediamo chi era.
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Non Pier, ma Petrus
Innanzitutto, se lo incontrassi chiamandolo Pier della Vigna, lui negherebbe di esserlo. Infatti si firmava Petrus de Vinea, quindi il nome è Pietro e non Piero. D’accordo, Piero è una derivazione di Pietro, ma dubito che Petrus de Vinea accetterebbe un tale volgarizzamento, essendo stato, da quanto sappiamo, una persona piuttosto superba, un uomo che teneva fortemente a mostrare la propria appartenenza a un certo rango sociale. Dalle sue lettere, che sono numerose (essendo atti pubblici, sebbene molte perduti) possiamo dedurre che amava usare un linguaggio impreziosito di grecismi, di parole difficili, di una sintassi complessa; insomma, voleva sottolineare la propria cultura. Non faceva nulla per venire incontro al lettore, anzi, è come se tendesse a selezionare la capacità interpretativa del lettore. La sua lingua è elitaria, a volte incomprensibile.
Forse per questo Dante, quando scrive di lui, usa quel complicato intreccio linguistico: “Cred’io ch’ei credette ch’io credesse” è la nota terzina del XIII canto dell’Inferno, quando Dante, sentendo delle voci uscire dagli alberi secchi del II girone (quello dei suicidi), VII cerchio, non capisce se le voci escano dagli alberi o da persone nascoste tra quegli alberi. Ma Dante non mette mai le cose a caso; quel giochetto di parole suona tanto come un modo per presentare il personaggio e, forse, per deriderlo.
Al servizio di Federico II
Quando Dante scriveva questo, erano passati circa 50 anni dalla morte di Petrus, il quale nacque tra il 1190 e il 1200. Dove? Quasi certamente a Capua. Perché Petrus de Vinea (o Pier della Vigna)? L’appellativo “de Vinea” potrebbe riferirsi a un sito di Capua (in loco Camillani, ubi dicitur ad Vineas).
Secondo alcune fonti era di famiglia povera, anzi mendicante. Ma è da escludere. Tutt’altro che povero, proveniva da famiglia benestante; suo padre era Angelus della Vigna, giudice di rilievo. Pietro è intelligente, studia, si fa precocemente strada; diventa notaio, uomo di legge, uomo di corte. E non è un notaio qualsiasi. Diventa protonotario, ovvero capo e direttore della cancelleria e custode dei sigilli dell’impero. È uomo di fiducia dell’imperatore Federico II. Svolge inoltre l’incarico di ambasciatore e e negoziatore di pace con il clero e, probabilmente, partecipa alla stesura delle Costituzioni del Regno di Sicilia, note come Costituzioni melfitane.
Abile politico
Insomma, non fu un semplice esecutore di ordini, ma deteneva una ragguardevole influenza politica. E tutto questo in una fase storica di forti attriti tra il papa e l’imperatore.
Non era certo uno sprovveduto in fatto di questioni diplomatiche. Era intervenuto in accordi di pace con esponenti della Lega Lombarda, intorno agli anni Trenta, sia a Verona sia a Padova. Aveva assistito e collaborato a firme di tregua.
Era quello il suo lavoro: era sostanzialmente un abile diplomatico. Uno di quegli uomini che fanno politica, ma in ombra. Aveva inoltre registrato come procuratore la firma del matrimonio tra l’imperatore e Isabella, figlia di Enrico III, re di Inghilterra; matrimonio che aveva l’obiettivo di saldare i rapporti tra impero e regno di Inghilterra. Enrico III, oltretutto, pagava. Pagava Pier della Vigna affinché avvantaggiasse l’Inghilterra nei rapporti con l’Impero, a scapito della Francia. È come un diplomatico che oggi dovesse occuparsi dei rapporti tra Russia e Ucraina… Si muoveva insomma in territori delicati. Territori che possono offrirti grandi ricchezze e pregio, ma sono comunque delicati e pericolosi.
E tutto questo in una fase di affilatissimi rapporti conflittuali tra papa e imperatore. Rapporti che non giunsero mai a una definitiva pace. Possiamo quindi esplicitamente parlare di scontro.
Tra papa e imperatore
Scontro che culminò con la scomunica di Federico II nel marzo del 1239. Dopo la scomunica, l’imperatore tentò la via diplomatica, per sedare il conflitto con la curia papale, e furono tentativi che durarono ancora negli anni, fino al 1245, quando un’ambasciata imperiale tentò contatti con il papa. Di questa missione diplomatica fece parte anche Pier della Vigna. Qui una parte dell’enigma: Pier della Vigna era poco gradito al papa, forse? O forse l’imperatore non si fidava pienamente di lui? Certo che è egli si trovò in mezzo a questo complicato conflitto, e il suo compito era quello di tentare una soluzione.
L’accusa
Circa nel febbraio 1249 il crollo: l’imperatore Federico II cavalca fino a Cremona, dove fa arrestare Pier della Vigna. “Petrum de Vinea eius proditorem”. Proditerem: traditore! La vita del protonotaro è a forte rischio, anzi è agli sgoccioli: il popolo cremonese vuole ammazzarlo; arrestato, viene condotto in catene a Borgo San Donnino e poi a San Miniato, dove viene accecato e rimesso in carcere. Qui la fine. Non si sa esattamente come sia morto; quasi certamente suicida, molto probabilmente sfasciandosi la testa contro un muro. Anche sul perché sia stato incarcerato la faccenda è oscura. L’accusa ufficiale è di “tradimento”. Secondo una lettera, Pier aveva trasformato “il bastone della giustizia in un serpente”, portando l’impero sull’orlo dell’abisso. Chi dice che abbia denunciato innocenti per poterne confiscare i beni. Chi sostiene che abbia instaurato rapporti segreti con il papa, a scapito dell’imperatore. Chi dice che sia stato semplicemente vittima delle invidie; insomma, che lo abbiano incastrato.
Gli storici più vicini al suo tempo, tendono a reputarlo innocente, vittima di intrighi di corte. Ma questo forse è un tentativo di accusa all’imperatore.
La sua sepoltura rimane un mistero. Così come rimane un mistero se mai fu sepolto.
E Dante?
L’interpretazione di Dante
Dante ci fa riapparire Pier della Vigna nell’inferno, come suicida. Nell’inferno, Pier della Vigna e Dante parlano. Anzi, è sostanzialmente Pier a parlare. Anche se non è esattamente Pier, ma un albero. Pier, come uomo, non appare: è un albero secco, non ha fattezze umane. E questo non è un dettaglio, dato che, non mostrandosi, non tradisce espressività. Rimane insomma nascosto.
La scelta di Dante è probabilmente dettata dalla consapevolezza di quanto fosse misteriosa la questione. Alcuni interpreti sostengono che Dante accusi Pier di suicidio (è ovvio) ma lo emendi come traditore. Dante quindi assolverebbe Pier della Vigna. Siamo sicuri?
Io son colui…
“Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.”
Un giuramento ambiguo
Così si presenta Pier della Vigna. Dice di sé: “dal segreto suo quasi ogn’uom tolsi”, ovvero “liberai i segreti di quasi ogni uomo”, che è come dire “svelai i segreti di quasi ogni uomo”, il che potrebbe essere una auto-accusa. Si sta forse auto-accusando di aver svelato anche i segreti dell’imperatore?
Ma anche ambigua rimane la frase pronunciata dopo: “per le nove radici d’esto legno/vi giuro che già mai ruppi fede/al mio segnor”.
Egli sta giurando, il che suona ambiguo. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice: “Non giurate!”. Ma, ancora più sottilmente, va notato che la procedura di giuramento, che un uomo al servizio dell’imperatore doveva fare, era ritualizzata ponendo la mano destra sul Vangelo. Qui invece viene fatta sulle radici dell’albero. Insomma, egli giura sulla propria dannazione, il che potrebbe una sorta di giuramento truccato.
Ciò che emerge è che l’atteggiamento di Pier delle Vigna non è chiaro, e le sue parole appaiono elusive.
La faccenda è e rimane enigmatica.
Per approfondire: a cura di Franco Suitner Nel Duecento di Dante: i personaggi; Enciclopedia dantesca.