Ecco, in ordine alfabetico, i peccati imputati a Bonifacio VIII (papa dal 1295 al e 1303): adoratore del demonio, ambizioso di potere, arrogante, blasfemo, cinico, dilapidatore di beni ecclesiastici, distruttore di città, eretico, fomentatore di guerre, fornicatore, iroso, negatore dell’Eucarestia e della verginità di Maria, nepotista, orgoglioso, simoniaco, sodomita, spregiatore dell’immortalità dell’anima della vita eterne e della resurrezione, stregone.
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Un posto all’inferno
Va detto, in sua difesa, che tutti questi peccati gli furono imputati post-mortem, quando ormai il suo potere era passato. Probabilmente, Dante sarebbe stato d’accordo. Si sa: lui non lo aveva in simpatia, e si capisce: fu uno dei maggiori responsabili, se non “il responsabile” del suo esilio.
Certo che, vista tutta la trafila di imputazioni addebitategli, il dubbio sarebbe: nell’inferno, dove piazzarlo? Ambisce praticamente a quasi tutti i cerchi!
Dante lo ha messo tra i simoniaci, ovvero tra chi lucra sulla religione.
I simoniaci
I simoniaci sono situati nel cerchio dell’inganno (ottavo), terza bolgia. Si presenta come un fossato disseminato di buche dall’apertura circolare, tutte della medesima larghezza. Dentro vi stanno ammassati, a testa in giù, i dannati per simonia. Man mano che se ne giunge uno, si sovrappone agli altri, per cui quelli sotto affondano sempre più in basso, ammassati a strati. Da ogni buca fuoriescono le gambe dell’ultimo arrivato.
Il panorama che si presenta agli occhi di Dante è quindi una distesa di caviglie che si dibattono, infatti, come se non bastasse, una fiammella vellica la pianta dei piedi degli ultimi arrivati, per cui sbattono continuamente nel tentativo di liberarsi.
È una tortura decisamente atroce, ma a suo modo comica.
“Sei tu già lì…?”
Dante paragona le buche ai battezzatoi della chiesa di san Giovanni, a Firenze, riuscendo così in un duplice effetto: ne offre un’idea concreta e associa la punizione a un luogo sacro, ma qui rovesciato.
Una buca in particolare attira la sua attenzione: un paio di garretti sembrano dibattersi più degli altri e la fiamma che li brucia sembra più rossa. Dante vorrebbe capire, allora Virgilio gli propone di scendere e di andare a constatare da vicino.
Arrivati davanti a quella buca, il poeta si china su quel paio di gambe (paragonandosi, in un secondo rovesciamento della cerimonia religiosa, al frate che confessa) e chiede: “Chi sei tu lì sotto?”
Dalla risposta del dannato, capiamo che quella buca è adibita ad accogliere un tipo particolare di simoniaci: i papi. Quello, infatti, che è Niccolò III (papa dal 1277 al 1280, noto per aver raccomandato e sistemato, tra una carica e l’altra, buona parte dei propri parenti), grida: «Sei tu già lì dritto, se tu già lì dritto Bonifacio?»
Una buca di papi
La scena è insieme sarcastica e drammatica. Senza dirlo apertamente, Dante lascia intendere che il successore di Nicolò III, ovvero Bonifacio VIII sarà il prossimo, e poi, dalla confessione di Niccolò, capiremo che, dopo Bonifacio, la fossa spetterà al di lui successore: Clemente V
Nel giro di una trentina di versi, ha collocato tre papi all’inferno: uno dopo l’altro, uno sull’altro, accusandoli apertamente tutti di simonia.
Riguardo Bonifacio, la simonia è però tutto sommato il male minore. Forse è però quello che meglio lo rappresenta. Dagli atti del processo di cui fu imputato (già morto) le testimonianze contro di lui sono inquietanti: pare si affidasse a culti magici, esoterici, di forte sospetto eretico; pare avesse particolari amuleti e pregasse strani idoli, che i testimoni definiscono demoniaci.
Un uomo abile e cinico
Ma ammettiamo che tutte quelle accuse siano esagerate e condite di superstizioni medievali, rimane il fatto assodato che fosse un abile politico, cinico, accentratore di potere. Il suo predecessore fu, non proprio Nicolò III, ma un altro noto papa: Celestino V, quello che fece il gran rifiuto, il quale rimase in carica poco più di tre mesi. E si dice che Bonifacio VIII usò appunto le proprie arti malefiche per spingerlo alla rinuncia del pontificato. Forse semplicemente seppe incastrarlo, convincendolo che tale rinuncia sarebbe stata per il bene della Chiesa, e forse, essendo Bonifacio abile conoscitore del diritto canonico, seppe approfittare dell’ingenuità e dell’ignoranza di Celestino V, il quale era oltretutto molto anziano e debole.
Secondo alcune fonti, Bonifacio aveva praticato un buco sul soffitto della camera di Celestino V, attraverso il quale, con una cornetta, gli diceva: “Sono l’angelo del cielo e ti dico che devi abbandonare le lusinghe del falso mondo e tornare al tuo romitaggio per servire solo Dio!”
Scena che sa più di film di Totò che di malefizi satanici.
La fine di un’epoca
E quindi, per diversi anni, Bonifacio VIII riuscì nella propria impresa: si aggiudicò il seggio papale e fece il bello e il cattivo tempo nella politica italiana. Ma arrivò anche il suo crollo.
Per quanto abile e cinico, il suo pontificato ebbe sì successi politici, ma anche una serie di sconfitte notevoli, soprattutto in ambito di politica estera. Nello scontro tra angioini e aragonesi, per aggiudicarsi il regno di Sicilia, Bonifacio VIII parteggiava per i francesi Angiò, ma la questione si risolse all’opposto. Il potere accentrante del papato stava tramontando a favore delle monarchie nazionalistiche. Finiva ormai il tempo dei guelfi e e dei ghibellini. Forse il suo errore politico fu quello di barricarsi dietro un’ostinata idea di accentramento del potere papale, che stava invece tramontando.
I nemici intorno a lui aumentavano a vista d’occhio: da una parte le influenti famiglia romane capeggiate da cardinali, oltre che le critiche di diversi correnti spirituali (tra cui quella di Jacopone da Todi), dall’altra gli spagnoli, infine in francesi, con i quali, dopo un lungo via vai di accordi e disaccordi, segnò la fine.
Verso il tramonto
Il braccio di ferro tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello giunse al culmine intorno al 1303 (il motivo di fondo era una questione di tassazione dei beni ecclesiastici in Francia) e si fece sempre più esplicito, finché, con abile mossa, il re riuscì nel suo scacco matto al papa: processarlo accusandolo di eresia, simonia e altro. Per questo gli atti del processo vanno presi con le pinze: sono accuse politiche.
Prima di giungere a questo, si passò però per una vera mossa militare, per cui Bonifacio VIII venne imprigionato. C’è qui la questione dell’ipotetico schiaffo dato al papa da parte del re, il che potrebbe essere più diceria che realtà; di certo fu umiliato e imprigionato.
C’è una frase che riassume bene la situazione. Alle minacce di ulteriore scomunica da parte di Bonifacio VIII a Filippo il Bello, l’ambasciatore del re così rispose: “Sancte Pater, gladius vester est verbalis, sed gladius domini mei est realis.” (Caro padre, la vostra spada è fatta di parole, ma la spada del mio padrone è reale).
Fine corsa
Bonifacio VIII morì la notte del 12 ottobre 1303, dopo 35 giorni di umiliazioni e prigionia ad Anagni. Aveva 73 anni. Non mangiava più, non dormiva più. Era stato trascinato a forza giù dal trono, picchiato, insultato.
La notte era il momento peggiore, quando si trovava a confrontarsi con la propria condizione e meditava vendetta ma non poteva fare altro che mordersi le mani. Cercava una corda per impiccarsi, ma gli avevano tolto tutto ciò con cui avrebbe potuto ammazzarsi. Pare che il popolo romano, sentendo le sue urla disumane, fosse preso dal terrore e si facesse il segno della croce.
Si era barricato dentro la stanza, vietando a chiunque di entrare. Dopo un lungo silenzio, non sentendo più rumori da dentro, preoccupati, gli uomini al suo servizio sfondarono la porta e lo trovarono piegato sul pavimento con la bava alla bocca.
Per approfondire: Dino Baldi Vite efferati di papi